Quando
iniziarono gli scavi di Pompei ed Ercolano vennero
alla luce anche affreschi, mosaici e statue dall'esplicito
contenuto erotico.
Tale scoperta sconvolse tutte le idee che nei
secoli precedenti si erano affermate circa i valori
etici degli antichi. Si scopriva il mondo greco-romano
antico da un punto di vista totalmente inedito
e sorprendente.
La sfera della sessualità era esibita senza
pudori e appariva essere un elemento molto importante
della vita quotidiana.
I Borboni stabilirono dapprincipio di censurare
i reperti erotici soprattutto perché i
viaggiatori stranieri del Grand Tour avevano iniziato
a parlare dei costumi licenziosi del passato e
del presente del regno di Napoli. Nel 1851 la
porta d'ingresso fu murata. Com'è immaginabile,
la censura non fece che aumentare la curiosità
generale. Una collezione di "priapi"
fu istituita in una delle sale del Museo Reale
di Portici; per visitare questa sala occorreva
però un permesso speciale.
Nel 1821 fu istituito il "Gabinetto degli
oggetti osceni", che col tempo raccolse anche
opere più recenti come la Danae di Tiziano.
Con l'unità d'Italia si decise di aprire
al pubblico la collezione erotica, come segno
di cambiamento e modernità rispetto alla
politica repressiva della dominazione Borbonica.
A Giuseppe Fiorelli fu affidato il compito di
riordinare la collezione e redigerne un catalogo;
col proposito di dare lustro e rilievo nazionale
a una siffatta originale raccolta d'arte, essa
fu ampliata attraverso l'acquisizione di ulteriori
reperti.
Per tutto il Novecento il gabinetto erotico è
rimasto accessibile a pochi. Esso è stato
riaperto nel 1976 ma ben presto chiuso per restauro
e finalmente riaperto nella primavera del 2000.
Dall'osservazione della collezione napoletana,
si evince che ne fanno parte anche opere pre-romane,
risalenti all'età greca, ma anche etrusca,
nella quale l'iconografia erotica appare essere
desunta dallo stesso mondo greco.
Rappresentanti della religiosità popolare
dell'Italia centrale sono poi alcuni ex-voto che
raffigurano parti del corpo umano; essi erano
offerti nei santuari come buon auspicio o ringraziamenti
per le guarigioni.
La parte più cospicua della collezione
è costituita dalle pitture a carattere
mitologico, che erano in voga soprattutto tra
le classi benestanti come conseguenza dell'influsso
ellenistico. Le pitture raffigurano gli amori
illeciti di Marte e Venere, di Polifemo e Galatea;
i travestimenti escogitati da Giove come in "Leda
e il cigno" rappresentano il filone delle
metamorfosi in amore allora molto in voga. Anche
le figure di Ermafrodito (il dio frigio dotato
di un corpo da donna e del membro virile) e del
satiro sono molto riprodotte.
Il giardino della casa romana era solitamente
il luogo decorato per eccellenza con i temi erotici.
Il giardino era il regno di Priapo, dio frigio
dotato di un fallo smisurato col quale puniva,
violentandoli, i ladri di frutta.
Il giardino come luogo naturale era anche il mondo
degli esseri misteriosi, come le ninfe, Pan, Dioniso,
gli stessi satiri e i pigmei. Abitanti dell'Africa,
questi ultimi rappresentavano l'opposto del tipo
ideale della figura umana e a loro si attribuiva
una sfrenata attività sessuale all'aperto.
I pigmei erano spesso dipinti sui banconi dei
triclini all'aperto di Pompei. Già nel
mondo ellenistico il banchetto era il luogo della
lussuria per antonomasia. Oltre ai triclini, anche
gli oggetti usati per i pasti (bicchieri, coppe
d'argento, portavivande, vasi, statuette) avevano
decorazioni a carattere erotico. Alla cultura
greca si ispirano anche le pitture che adornavano
i luoghi del piacere. Molti affreschi raffiguranti
le posizioni dell'amore sono state rinvenute nelle
case private benestanti o nelle celle meretriciae
di Pompei. Quest'ultime erano annesse alle taverne
o ai bagni pubblici. Altri
reperti ritrovati a Pompei sono degli amuleti,
usati come protezione contro il malocchio e le
malattie: lucerne in terracotta, campanelli di
bronzo adornati con figure itifalliche. La rappresentazione
fallica si ritrova spesso a Pompei sulle facciate
dei forni e delle botteghe come ulteriore forma
di protezione. Alla collezione del Museo Nazionale
appartengono anche alcune opere egizie, acquistate
nel 1815 da Stefano Borgia per volontà
di Ferdinando IV. Alcuni oggetti, come i nani
in pietra con enormi falli tra le mani sembrano
autentici, altri invece sono più vicini
al gusto settecentesco e quindi si presumono falsi
ma comunque interessanti per capire l'epoca del
loro collezionista .
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